Studio d'Arte Grafica e Fotografica   Domenico Chiodo                                                             

Considerazioni e commenti
Benvenuto nel sito di Domenico Chiodo, artista della fotografia e del disegno

05-04-07

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  L’arte di Domenico Chiodo lineare nella sua evoluzione, immediata nella sua lettura è una notevole sintesi di contenuto e di forma e lo strumento utilizzato, ossia la matita, appare come mezzo essenziale per raggiungere una rappresentazione attenta e scrupolosa dei colori e della luce che tornisce la realtà visibile.

     Non è ricerca del fare per stupire: la materia, i volumi, i volti risultano filtrati attraverso una sottile poetica e sempre attraverso uno stato d’animo la cui profonda drammaticità si coglie puntualmente nell’espressione dei vari ritratti. Perché di ritratti per lo più si tratta anche se talora la fantasia ha realizzato la figura umana o la fisionomia al di là di quelle che sono le pure essenze somatiche del modello.

     Infatti si può intendere per ritratto l’opera, sia che rappresenti l’individuo attraverso una fisionomica notazione precisa, sia mediante elementi simbolici che ne identifichino la personalità attraverso la funzione svolta o il ruolo sociale che l’accompagna.

     Ed è a questo punto che Chiodo prende le distanze da quella che sarebbe pura immagine fotografica in quanto in questa, per ben riuscita che sia, si disperde “l’animus” che sottende invece il vero e proprio valore dell’arte, che tale è in quanto esprime una serie di contenuti che non sono solamente la pura abilità calligrafica ma divengono invece comunicazione estetica, poetica ed interpetrativa.

     L’attenzione infatti si appunta sulla vita più interna e segreta dell’individuo, al di sopra delle stessa qualità morali e cerca di penetrare nell’intimo della sua anima. Il processo di idealizzazione e di astrazione muta profondamente i dati della rappresentazione. L’intelligenza e la sensibilità non possono essere sostituiti dallo strumento meccanico, per quanto sofisticato possa essere: l’obiettivo è talvolta spietato, l’artista mai.

     Pur non essendo “accademia” l’espressività di Chiodo si delinea in tre direttrici sufficientemente omogenee ma comunque rimarchevoli e ben definite: lo studio del nudo femminile nelle sue aggraziate movenze, l’indagine della figura la cui indiscussa sacralità ne fa un capitolo a se stante (in cui il volto del Cristo, una volta fissatene le caratteristiche, diviene il ritratto per eccellenza) ed infine il ritratto vero e proprio nel quale la tendenza a riprodurre il sembiante del modello nella sua identicità non distoglie l’artista dal penetrarlo di contenuti essenzialmente spirituali.

     L’immagine rotea col sapiente gioco chiaroscurale intorno alla realizzazione disegnata dell’occhio come centro di ogni valore originario, come specchio dell’anima da cui si irradia il senso esistenziale delle abissali profondità del pensiero, dei sentimenti, della gioia, del dolore, della sofferenza dell’umano cammino. I contorni sempre ben definiti realizzano talora la loro morbidezza in concerto con la cornice dei capelli, o più ancora se il panneggio si presta con le sue volute mutevoli, l’artista ne sfrutta i pregi con una ricerca puntuale, minuziosamente grafica, in cui il dettaglio è parte indispensabile dell’insieme e le mezze ombre o il candore della luce dell’incarnato, risultano quantomai nette, facilmente leggibili e pure insieme estremamente sofferte.

     Il segno sempre sicuro, la linea mai incerta, la perizia nello sfruttamento delle fonti di luce attraverso la povertà del mezzo utilizzato permettono a Chiodo un colloquio sempre aperto ma egualmente sottile e delicato con il fruitore dell’opera senza mezzi termini e senza ambiguità.

     È con questa chiarezza di contenuti che egli si propone ad un pubblico ormai avvezzo a sorprendenti e smaliziati sofismi, a contorte e cerebrali sofisticazioni.

     Ma non si creda che questa apparente ingenuità non sottenda invece un accurato e lungo “Labor limae”, basti paragonare a titolo esemplificativo quel morbido “volto di fanciulla” incantato e acerbo, gli occhi fisi all’infinito, protesi al destino, con il volto scavato e affranto della “Vergine addolorata”, in cui ancora le stille delle lacrime sembrano brillare sulle gote consunte o ancor più nel dolore feroce del “Cristo Crocifisso” nel quale gli aculei della corona sembrano voler trafiggere più lo spirito dell’osservatore che non il volto purissimo e comunque sereno del figliolo di Dio.

      Sono dettagli questi che travalicano il puro dettato dell’opera, l’intenzione stessa dell’artista che si lascia andare senza eclatanti alchimie sull’onda del proprio sentire.  Ed è in questo tumulto di sentimenti che la matita di Domenico Chiodo diviene strumento incantato di mille possibili, delicate malie.

                                                                                                                 Antonio Ceccarelli

Rieti, marzo 1981

in occasione della prima personale alla Galleria “Presenze”

 

 

     Nella grafica sapiente dei suoi quadri si aggiunge evidente lo studio attento e penetrante del carattere del personaggio ritratto. Volti, figure appaiono improvvisi vivi e scattanti rappresentati in un attimo magico dal lampo prodigioso della matita dell’artista.

     Sono attimi di una vita che travalicando il limite grafico fine a se stesso scattano entrando in una nuova dimensione creata ed eternata sulla tela dalla personalità artistica che le è stata donata. Domenico Chiodo disegna analizzando la spiritualità raccolta dietro il misterioso involucro superficiale delle figure, dei volti, dei nudi, dei gesti e ne crea delle immagini autenticamente reinventate.

     Un disegnatore raffinato, uno psicologo potenziale ma soprattutto un autentico artista che crea senza grandi clamori, e che in silenziosa operosità avanza sempre di più nelle intricate boscosità dell’arte.

                                                                                                         Giuseppe Sciaccaluga

Terni, 19 marzo 1982

in occasione della personale in Corso Tacito a Terni

 

 

     Le opere di Domenico Chiodo rivelano, anzitutto, una sicura, solida padronanza del mestiere, schietta aderenza all’identità dei soggetti, colti nella loro fisionomia fisica e nella loro interiorità spirituale. Cesare Verani si compiace per l’approfondita ed efficace ricerca di sempre più concreti valori formali, per l’impeccabile sicurezza del disegno, per l’introspezione psicologica dei soggetti, specie per quelli di tono ritrattistico.

                                                                                                                     Cesare Verani

Rieti, aprile 1984

 

 

     Un profilo di Domenico Chiodo sarebbe incomprensibile senza un, sia pur breve, accenno alla biografia dell’Artista ed alle sue esperienze che danno alle sue opere il valore di testimonianza al tenace e prolifico lavoro, al suo esigere la perfezione assoluta: pratica, questa, che adotta anche nella sua quotidiana attività.

     Ad amare la pittura inizia fin da piccolo, tra i banchi di scuola, ritraendo negli intervalli, e qualche volta anche durante le lezioni, i suoi compagni. Oggi definisce questi lavori, con modestia che non riesce a nascondere la soddisfazione, “non grandi cose”: ma Domenico Chiodo, autodidatta, si avvia così, allora, nell’arte del dipingere.

     Per creare le sue opere trascorre intere nottate al cavalletto, con un sottofondo di musica classica, e trasmette con esse inquietanti messaggi che evocano un legame esclusivo con la particolare e profonda sensibilità dell’Artista.

     Osservando l’originalità e la fantasia di certi volti, si nota la maturazione, lenta e graduale ma sempre fedele a schemi culturali personalissimi ed ancorati ad una maestria tecnica che si affina sempre più e riesce sempre meglio a “servire” la sua ispirazione.

     La pittura di Domenico Chiodo, pittore di sogno e di espressione, assume vita autonoma dove molto e autobiografia e le sue opere possono essere giustamente considerate come testimonianza dell’arte del nostro mondo e nel contempo esplorazioni tra sogno e realtà.

                                                                                                                         Iva Damiani

Rieti, maggio 1984

 

 

     Domenico Chiodo, ritrattista, disegnatore, fotografo di non comune talento, riesce ad esprimere nelle sue immagini un afflato particolare che da esse promana e che muove l’animo ad una ammirazione sincera. Le immagini, sia umane che naturali, vivono nella immediatezza dell’attimo e trasmutano rapide in forme sempre nuove.

     La singolarità di un ritratto o di una fotografia sta proprio in questo: fermare quell’attimo, captarne le suggestioni, percepirne il linguaggio sottile e penetrante.

     In Chiodo l’immagine non è semplice espressione grafica ne solo realizzazione di forme; ad essa e sottesa una potenzialità latente, una emanazione appena percepibile che la rende fortemente comunicativa e le conferisce una nota grata ed accattivante.

     Attraverso l’immagine, l’artista comunica su un piano spirituale e ideale e coinvolge sentimento, fantasia, immaginazione del fruitore.

     L’uso del chiaroscuro gli consente di ottenere esiti suggestivi; ombre e luci creano effetti di rara efficacia. Nei suoi ritratti una pupilla umana è vettrice dei moti del cuore, i lineamenti di un volto comunicano un senso di felicita fuggitiva, i capelli scomposti di una giovane donna recano la gioia di una libertà illimitata, il Cristo trasmette una vibrazione di composto dolore, la Vergine rende partecipi della sua rassegnazione sofferta. I volti hanno la suggestione di una sorprendente vitalità, di una bellezza vivente: i vari elementi si compongono nella finitezza di una forma che attrae e conquista.

     Gli occhi, vòlti a mirare un sogno lontano, ora sono illuminati da un impulso di amore, ora placati nella gioia di un desiderio appagato, ora comunicano un senso di velato rimprovero; le labbra lievemente socchiuse a negare una parola desiderata, dolcemente disposte a ricevere l’offerta di un bacio, impercettibilmente vibranti di un sentimento nascosto; i capelli, infine, effusi, ondeggianti, scomposti, completano la magia di un ritratto che ispira spontaneo consenso. E se la natura e creatrice di ogni bellezza, l’artista, rivivendola in sé, ne e l’interprete più appassionato, il celebratore più degno.

     Alla sicurezza del segno, alla delicatezza del tratto, al dosaggio del chiaroscuro e, soprattutto, alla sua disposizione interiore, l’autore affida la realizzazione di un dialogo artistico e umano di semplicità e di bellezza. Semplicità che è mèta proposta, desiderio di verità, anelito a cogliere nel reale quel soffio che lo anima e lo fa essere uno e diverso.

     L’arte di Chiodo, attraverso la ricerca del bello, persegue anche il bene. I suoi volti, infatti, suscitano una ammirazione serena, i suoi nudi muovono una contemplazione pudica, i paesaggi, ritratti dal suo obiettivo, invitano ad ammirare la bellezza del Creato.

     La elaborazione artistica congiunta ad una compenetrazione ideale e morale con i soggetti ritratti, l’atteggiamento dell’animo che si avvicina all’esistente, con estrema umiltà e profondo rispetto, danno alle sue creazioni i tratti di una superiore bellezza, l’eco di una verità perennemente sfuggente.

     Oltre a svelare misteri e bellezze, Chiodo non manca di ricordare all’uomo che nel suo essere, caduco ed effimero, e posto un seme di verità e di bellezza che, se coltivato con amore e passione, crescerà in albero grande e non mancherà di dare i suoi frutti meravigliosi.

                                                                                                                   Nicola Venanzi

Rieti, maggio 2002

 

 

 

 

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